Opere

Sciliar (2012)

per orchestra da camera

La vista maestosa e mansueta dello Sciliar è annidata tra i ricordi più impressionanti dei miei viaggi in montagna. L’occhio della memoria è ancora colmo di quella portentosa massa di dolomia che gli abitanti della zona chiamano Monte del Destino. Un nome che evoca antiche leggende per il richiamo inevitabilmente suggestivo della sua sagoma, su cui impattano pensieri, sogni, riflessioni lanciati da qualsiasi lontananza, ma anche perché in tempi preistorici pare che l’uomo vi si arrampicasse sino in cima, per offrire alle divinità di quei luoghi  scenografici cerimoniali. 
Con il suo ciglio largo, poderoso e anche terribile se oscurato da inquieti segnali del cielo, lo Sciliar è riaffiorato in me quest’anno, durante una vacanza d’inverno. Ho iniziato ad annotare la sua forma sul pentagramma puntando a questo luogo come all’orizzonte ove specchiare il destino. Una montagna protettiva, dove compiere il mio privato rito propiziatorio, fatto di polveri sonore, di formule armoniche, di accordi arcaici animati da una sotterranea litania orchestrale. 
Sciliar è il paesaggio simbolico dove proiettare il futuro, dove ascoltare sentimenti profondi. Sentimenti che trascorrono come stelle cadenti in una notte di luglio, come un pianto del cielo che non può trattenerle e attraversa l’orchestra nelle saette delle scale discendenti. Il suo sasso piatto è il totem che radica nella terra la congiunzione al cielo, e il suo inconfondibile dente è la torre da cui la psiche spicca il volo, assumendo il leggero sembiante di un uccello. É sullo Sciliar che possiamo ascoltare corde profonde e soffi altissimi, silenzi millenari ed epici eventi sonori. Da qui possiamo osservarli nella doppia prospettiva della pianura e della punta: la  concretezza della pietra assiste con apparente indifferenza al trascolorare dell’esistenza, la sapienza muta del cielo è pronta ad accogliere progetti, invenzioni, desideri. 
Non una composizione descrittiva, né tantomeno illustrativa: Sciliar è la visione musicale di un topos mitico e autobiografico dove orecchio e occhio cercano il divino, mentre una voce interiore scandisce i fonemi incantatori, liquidi e sonanti, della denominazione ladina. Scivola rapida la prima sillaba, si tuffa morbida in una piccola elle, rotola lentamente nel dittongo e si arresta infine sulla erre tintinnante, che impertinente chiude la parola con una consonante infinita. L’anelito di ciò che sorgendo non potrà tramontare.

Prima rappresentazione:
22 luglio 2012, Festival di Erl. Orchestra Haydn, dir. Rinaldo Alessandrini

Organico:
2 Fl (2° anche Ott), 2 Ob, 2 Cl in Sib (2° anche Cl b), 2 Fg (2° anche Cfg), 2 Cr, 2 Trb in Do, Tp, Perc (Vibr, Buckelg, Tam tam gr., G.C. sinf), Archi 

Durata: 11′ 

Partitura Catalogo Ricordi: 
Catalogo Ricordi (140788)


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