Opere

Napucalisse (2012)

Oratorio grottesco per soli, coro di voci bianche, coro misto e orchestra

Testo di Mimmo Borrelli

Come un’orchestra si fa Napoli. Come i suoni si fanno vulcano. Sono le sfide che ribollono nella composizione di Napucalisse. Il mio amore per questa città dalla storia musicale ricchissima e dal presente che offre sempre un vivido ascolto, si riflette in una partitura cangiante come la sua protagonista. Napoli. Dove si incontrano personaggi attinti da una mitologia quotidiana e millenaria, come il vecchio saggio Cinello, fasciato da un moto timbrico ironico ed estroverso, piccante e granuloso, che si presenta per la prima volta alla montagna nella coltre di vapori armonici di Cammera. Un po’ artista di strada, un po’ esorcista, appare capace nel sortilegio dialettico di sublimare le energie negative annidate nei meandri sconvenienti della città, convinto tuttavia che essa possa in ogni istante cambiare; e per questo invoca il Vesuvio, gli parla come a un eterno amico immoto, memore di ogni vicenda raccontata ai suoi piedi.
C’è poi l’assassino ‘i Cartone, emblema di una Napoli che più non crede al futuro. Una maschera tragica, fatalmente incline al suicidio, un vile di pasta fragile nell’espressione vocale, protagonista della non-consistenza in Sulfatara, una voce che galleggia incerta fino a rischiare di essere inghiottita. Gorgogliano i ricordi mentre il Vulcano medita sul suo proprio fuoco, il ritmo lavico si scioglie in un libero soffiare e l’assassino si guarda dentro. Un ricordo d’infanzia svela il bimbo, la sua speranza e il buon cuore che una vita sbagliata trasformò in killer; dove anche la musica, scagionata dalla legge delle battute, sospende il giudizio in questo che è l’unico movimento senza tempo.
La musica avvolge di tenera luce l’unica donna solista, che però lo è al quadrato: la Madonna Partenope, oracolo angelico che discende con candida voce, maestra nel tenere a bada nubi, tempeste e furie, e insieme capace di miracoli con la sua essenza salvifica e creatrice di madre.
Oltre alle tre voci simbolo, dialoga con il Vesuvio anche il personaggio-coro di Guainella, fatto delle voci bianche dei bambini in festa. È il volto di un rinnovato presente, che appare per la prima volta in Magma, con un canto senza parole mormorato su una scrittura misteriosa e lontana, alito del puro spirito dei fanciulli, che sull’informe impasto si staglia avvicinandosi alla città.
Sullo sfondo dei personaggi ecco il Vesuvio, incarnato dalla potenza cangiante di un grande coro misto. Nelle incandescenze polimorfe del materiale vulcanico sgorga una molteplicità di voci: voci amiche con cui dialogare, voci antiche che ritornano anche nei più recenti accenti, voci dormienti che possono risvegliarsi e farsi pericolose. Il suono brilla d’inquiete rifrazioni armoniche, simboli sonori interpretati da un’orchestrazione perennemente mutevole. È il magma, che sempre si trasforma ma che sempre è se stesso, che è saliva e parola nel linguaggio gastrico del Vesuvio. Massa sonora densa e vischiosa, allargata nel solo movimento della Madonna, il quinto, della Pioggia di fango, ove l’apparizione divina giunge a porre fine alla violenza. “La mia città piange per non avere speranza e sorride per non avere rancore”, canta la Madre, e il suo pianto è mescolato alle carezze degli archi, con sei corni, timpani, arpa, pianoforte e qualche rada percussione. Un momento lirico che s’incunea nella fitta trama vocale dell’elemento lavico, intensamente compenetrato nella formula timbrica e ritmica. Ed è proprio nel movimento dedicato alla Lava che si verifica la maggiore articolazione di fraseggi. Intrecciati asimmetricamente in un’intricata polifonia, che principia con “Napule senza famiglie” e termina con “Napule r’ammore”, compendiano la molteplicità di Napoli, capace dell’urlo dei poveri e dei disperati, ma anche del sorriso e della luce di una città viva. Una partitura caleidoscopica che lenta si trasforma nei suoi numeri musicali, a se stanti nel succedersi ma inesorabili nel rimestio della stessa materia magmatica. Ritorni tematici che suggeriscono una drammaturgia interna in questo teatro invisibile della parola e della musica. Un teatro senza azione, ovvero un teatro-sensazione: dove i personaggi non si vedono ma sono internamente sentiti e ricostruiti da chi Napoli la ama, la vive, la ascolta. Un teatro che ti senti addosso e dentro, in uno spazio interno dove ritrovare le camere, i perimetri scenici di una drammaturgia grottesca sin dal sottotitolo, capace di succhiare l’essenza ironica che è componente innata dell’anima napoletana, ineguagliabilmente abile a sdrammatizzare i fatti della vita. Un viaggio che si apre in un gesto di nascita, un Preludio orchestrale che dalle profondità della notte sorge come alba, irrorata da cascate di note cresce sino a illuminare il golfo. Un racconto che si chiude nella Quiescenza di pace, con il vulcano che si assopisce nel canto angelico delle voci bianche, intonano “Io sono la mia terra” mentre la partitura scivola nel Postludio finale. Il coro prende a cantare ritmici suoni gravi, un rito di liberazione si sprigiona. Una danza concentrica intorno al Vesuvio, un inno al fuoco e alla terra, che tutto rigenerano e purificano. Una gioiosa apocalisse di vita.

Prima esecuzione assoluta – commissione del Teatro di San Carlo
Inaugurazione Stagione Sinfonica 2012-2013

Direttore: Tito Ceccherini
Maestro del Coro: Salvatore Caputo
Direttore del Coro di Voci Bianche: Stefania Rinaldi 

Il vecchio saggio/Cinello: Alexander Kaimbacher
Assassino di cartone: Urban Malmberg
Madonna Pertenope, oracolo: Valeria Sepe
Vesuvio: Coro
Nube Ardente: Coro Femminile
Guainella: Coro di Voci Bianche

Orchestra, Coro e Coro di Voci Bianche del Teatro di San Carlo

Teatro di San Carlo
Venerdì 28 settembre 2012 ore 20.30 (Turno S)
Sabato 29 settembre 2012 ore 18.00 (Turno P)